dott.ssa R. de Paola Agopuntura e MTC- Biolo Headline Animator

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lunedì 11 maggio 2009

L'agopuntura non è una sola - 03/05/2009

di Renato Crepaldi Giancarlo Pizza, Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Bologna, lo scorso 30 aprile 2009, in una intervista a “Libero” ritorna sul riconoscimento legislativo delle Medicine Non Convenzionali, ribadendo la sua posizione di sostegno alla decisione del Consiglio Nazionale di FNOMCeO svoltosi a Terni nel 2002 che riconosceva nove discipline rispetto ad una posizione che si sta attualmente affermando di riconoscimento delle sole agopuntura, omeopatia e fitoterapia. Credo opportuno che nel momento in cui si profila una concretizzazione legislativa, almeno si debba fare chiarezza su due questioni: i nessi tra agopuntura e medicina tradizionale cinese, la storia e l'evoluzione dell'agopuntura in Italia. I nessi tra agopuntura e medicina Tradizionale Cinese. L'agopuntura come modalità terapeutica nasce storicamente all'interno del sistema medico cinese, all'interno cioè di una concezione fisiopatologica olistica che ha come riferimento i testi antichi (Huang Di Nei Jing) e che vede il momento diagnostico, il porre diagnosi, come l'atto in assoluto più importante. La palpazione dei polsi radiali e l'esame della lingua sono i momenti più significativi e peculiari di questo processo. Posta la diagnosi si arriva alla terapia che nella Medicina Tradizionale Cinese appoggia su cinque branche distinte ma spesso usate in modo sinergico. Agopuntura, Farmacologia (uso dei rimedi vegetali ma anche animali), Dietetica (uso degli alimenti come fossero veri e propri farmaci), Massaggio Tuina, Ginnatiche mediche (Qi Gong, Taj ji). Quindi in senso storico e tradizionale l'agopuntura non può essere scissa dal suo corpo di appartenenza che è la Medicina Tradizionale Cinese. L'evoluzione dell'agopuntura in Italia. L'agopuntura è il sistema terapeutico che trova per primo adepti in Europa e ben presto viene identificato, tout court, come medicina cinese. La diffusione avviene soprattutto attorno agli anni 50-60 nell'ambito della terapia del dolore e dell'analgesia con una prevalenza allo studio dell'anatomia e alla localizzazione dei punti di agopuntura e degli schemi terapeutici con una impostazione diagnostica occidentale ben diversa da quella tradizionale. Alla fine degli anni ottanta molte scuole si orientarono più precisamente verso l'insegnamento di tutto il corpus della Medicina Tradizionale Cinese introducendo anche gli insegnamenti di farmacologia, dietetica, massaggio e ginnastiche mediche. Accanto a questa evoluzione, l'esperienza dell'agopuntura riflesso terapica ha continuato ad esistere assumendo una impostazione propria. Siamo quindi arrivati ad un concetto di agopuntura ed ad una applicazione terapeutica che non è univoca. Le ultime importanti revisioni sistematiche pubblicate su The Cochrane Library 2009-1 al di là dei lusinghieri risultati favorevoli all'agopuntura (sham o tradizionale che fosse) testimoniano come anche a livello di studi scientifici sia ormai improcrastinabile la definizione del tipo di agopuntura che si pratica. Il paradosso in cui si potrebbe cadere è che venga accreditata l'agopuntura e non la Medicina Tradizionale Cinese. Se fosse approvata una legge del genere si creerebbe una grave confusione e non si risponderebbe in modo adeguato al riconoscimento delle MNC sia per i pazienti che per i medici agopuntori. Qualsiasi intervento legislativo non può che partire dalla realtà e in questo caso da una realtà almeno trentennale Sarebbe auspicabile che fosse coinvolta anche a livello istituzionale nel dibattito politico culturale la FISA che attualmente rappresenta la maggior parte delle società di agopuntura in Italia di provenienza tradizionale e riflesso-terapica e che all'interno di FISA stessa si elaborasse una posizione chiara e pubblica su questo problema. Archivio vecchie Notizie »

venerdì 8 maggio 2009

Pollini meno fastidiosi con l’agopuntura

Descrizione e modalità di aggiornamento Con la primavera alle porte, arrivano le prime allergie, un problema che riguarda 32 milioni di persone in tutta Europa e oltre 3 milioni di italiani, con sintomi concomitanti di asma e rinite allergica. Accanto a chi utilizza immunoterapia, antistaminici, spray nasali e colliri specifici, c'è anche chi ricorre all' agopuntura. Secondo un recente studio tedesco, pubblicato sull'American Journal of Epidemiology, circa il 19% delle persone con rinite allergica fa affidamento anche sugli aghi. Aggiunta alle cure farmacologiche tradizionali, sembra effettivamente migliorare la qualità di vita di chi soffre di allergie ai pollini. Riporta la notizia il settimanale Salute del Corriere della Sera. «Uno degli ambiti di maggiore utilizzo dell'agopuntura è rappresentato proprio dalle allergie - conferma Aldo Liguori, docente di agopuntura al Master dell'università La Sapienza di Roma e direttore dell'istituto Paracelso per lo studio delle medicine non convenzionali - questa antica tecnica cinese - viene utilizzata sia in fase acuta, sia a scopo preventivo per ridurre le manifestazioni. Nel primo caso, si fanno in media 8-12 sedute, le prime ravvicinate (anche tutti i giorni, o un giorno sì e uno no) e poi settimanalmente. Se l'obiettivo è fare prevenzione, bisogna invece iniziare il trattamento almeno un mese prima dell'abituale insorgere dei sintomi». «Sembra che gli aghi - spiega Liguori - agiscano riequilibrando il sistema immunitario e abbiano anche effetti antisecretori, antinfiammatori e mucolitici. La modulazione del sistema immunitario spiegherebbe anche perché chi usa regolarmente l'agopuntura può andare incontro, negli anni, a una riduzione della sintomatologia complessiva. Va inoltre segnalato che in alcuni casi l'associazione dell'agopuntura con le classiche cure farmacologiche permette di ridurre l'uso e il dosaggio dei medicinali».

lunedì 4 maggio 2009

RELAZIONE AL CONSIGLIO NAZIONALE

1 Roma 17 Aprile 2009 Premessa L’odierno Consiglio Nazionale fa seguito al rinnovo del Comitato Centrale per il triennio 2009-2011 e rappresento il comune sentire dei colleghi neoeletti e riconfermati nel rivolgere un ringraziamento a quanti ci hanno investito della loro fiducia. Con altrettanta sincerità, interpretando un sentire ugualmente condiviso, ringrazio quei Colleghi che, presentando una lista ed un progetto professionale concorrente, hanno animato ed arricchito l’ultima competizione elettorale. Presto avrete dimestichezza con il nuovo Segretario della Federazione e Presidente dell’Ordine di Napoli, dott. Gabriele Peperoni e con il nuovo Tesoriere nonché presidente CAO di Avellino, dott. Raffaele Iandolo, entrambi sono già del tutto inseriti nelle loro funzioni istituzionali e oggi chiamati ad esercitarle nell’autorevolezza di questa assemblea dei Presidenti . A nessuno di noi sfugge la particolare importanza di questo Consiglio Nazionale considerato che l’ordine del giorno prevede la presentazione e l’approvazione del bilancio di previsione, ovvero il documento economico finanziario con il quale il nuovo Comitato Centrale intende sostenere quel progetto di gestione della Federazione e quelle iniziative di politiche professionali, così come indicato nel programma premiato dal consenso maggioritario nel confronto elettorale. Non entro nel merito tecnico del bilancio preventivo ma non posso nè voglio sottrarmi alle responsabilità di dichiarare in modo esplicito alcune scelte che hanno informato la stesura del documento, sottolineandone gli obiettivi più qualificanti. 1) Il preconsuntivo 2008, basato su dati molto prossimi a quelli definitivi, conferma un trend complessivo di spese correnti inferiori alle entrate correnti testimoniando l’efficienza di quel rigoroso controllo delle uscite avviato tre anni fa. Questa struttura della spesa fa prevedere, salvo diverse scelte normative sulla possibilità di differenziare le quote o altre contingenze impreviste, una sostanziale sufficienza e stabilità degli attuali importi a carico degli Ordini per il triennio 2009-2011. 2 2) Il sostanzioso avanzo di amministrazione, di poco superiore ai 3 milioni di euro, è il polmone economico - finanziario della Federazione; ci consente infatti di non avere sofferenze di cassa stante il flusso incostante delle rimesse dagli Ordini provinciali ma soprattutto ci permette di ragionare in prospettiva medio lunga, non costretti da contingenze, su alcune questioni: una su tutte la disponibilità di una sede più adeguata all’immagine ed ai nuovi concreti impegni della Federazione. Contiamo di sottoporre ad un prossimo Consiglio Nazionale un dossier sulle varie ipotesi percorribili perché possa assumere decisioni in merito. 3) Sono state individuate ulteriori risorse per supportare i nostri Ordini piccoli e medi, nel raggiungere e mantenere determinati standards di servizi (tutele assicurative e legali, informatizzazione delle anagrafiche e delle procedure amministrative, corsi Fad, etc) e di attività istituzionali che rafforzano il radicamento e la visibilità degli enti nella comunità professionale e sociale locale (ad esempio finanziamenti ad attività convegnistiche svolte in partnership con la Federazione). 4) Sono state dedicate ulteriori risorse al potenziamento delle attività del Consiglio Nazionale, (5-6 incontri/anno) quale baricentro del processo di costruzione e diffusione delle politiche della professione, avvalendosi a tale scopo dell’apporto sistematico di gruppi di lavoro agili, con mandati specifici in merito a questioni sulle quali dobbiamo esprimerci proponendo le nostre soluzioni. 5) Si è inteso rafforzare la presenza culturale e propositiva delle nostre istituzioni in campo nazionale programmando almeno tre Convegni Nazionali all’anno, più seminari, workshop, forum, in ragione di questioni emergenti, supportati dal Comitato Centrale ma aperti alla partecipazione. 6) Specifiche risorse sono state destinate a intensificare nella struttura operativa della Federazione, le attività di quattro aree che consideriamo di valenza strategica e per questo in staff con l’Esecutivo ed il Comitato Centrale della FNOMCeO e più precisamente: A)- Area Comunicazione, Informazione, Editoriale B)- Area Centro Studi, Documentazione e Ricerca C)- Area Programmazione fabbisogni e Formazione Universitaria pre e post laurea D)- Consulta Permanente Bioetica e Deontologica 7) E’ stata confermata, in modo convinto e sostanziale, una scelta Federativa che promuove e garantisce l’esercizio pieno delle autonome e specifiche attività della componente odontoiatrica, attraverso una 3 apposita destinazione di congrue risorse; considerando quindi la ricchezza del loro lavoro, un patrimonio per tutta la nostra istituzione. Considerazioni generali Nel prospettare il vasto e complesso profilo degli impegni che nel prossimo futuro la FNOMCeO intende responsabilmente assumere, è necessario innanzitutto prospettare soluzioni a quel crescente disagio professionale che i medici vivono, in ragione delle profonde e rapide innovazioni dei contenuti della medicina e dell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari. Paradossalmente questo processo di perdita di identità professionale, di svuotamento di ruoli sociali e civili prende ulteriore vigore in una fase in cui è esponenziale la crescita dei saperi e dei poteri della medicina, determinando, nel vissuto e nel percepito dei medici profonde incertezze sui fini e sugli scopi della medicina, della sanità e dello stesso esercizio professionale. Tali incertezze si superano individuando i determinanti dei grandi processi di cambiamento, valutando il loro impatto tecnico professionale, etico e sociale sul complesso sistema delle cure e dell’assistenza, sulle pratiche professionali, per contrastarne le derive minacciose, per accettarne invece le sfide capaci di produrre miglioramenti e tentare così un riposizionamento, autonomo e responsabile, della nostra professione nel core di quei processi decisionali che oggettivamente le competono e dai quali risulta emarginata. Non è facile rivendicare ruoli autonomi ed avocare responsabilità in un contesto che, sempre più spesso, mette in evidenza preoccupanti inadeguatezze del decisore politico ad assumere le scelte che gli competono sugli aspetti direttamente connessi con il corpo umano e con i suoi valori etici e civili e, più in generale, con le questioni di carattere sanitario concernenti le garanzie dell’equità e dell’efficacia della tutela della salute. Le scelte in sanità coinvolgono diritti dei cittadini e libertà delle persone e, anche per questo, hanno bisogno di una politica buona, capace cioè di scegliere gli indirizzi con autorevolezza, trasparenza e responsabilità, così come di una gestione dei servizi di cura ed assistenza competente ed efficiente nell’uso delle risorse Tuttavia il cerchio virtuoso fatica a chiudersi, se i professionisti sono tenuti nell’angolo, ridotti ad una anonima prima linea, esposta su un fronte sconfinato di mediazioni difficili tra presunte infallibilità e limiti della medicina e dei medici, tra domande infinite e risposte possibili, tra speranze e le evidenze, tra accessibilità ed equità, tra chi decide e che cosa si decide. 4 Se è vera anche solo una piccola parte di quanto fino ad ora rappresentato, resta comunque enorme il compito che abbiamo di fronte a noi, che ingigantisce le inadeguatezze del passato, non solo della nostra Federazione, nel definire progetti di politiche per la professione, troppo spesso ridotte a mera difesa di interessi contingenti e categoriali, nell’illusione miope che, salvando le rispettive parti, si potesse salvare il tutto. Sto parlando innanzitutto di me stesso, della mia esperienza sindacale prima ancora che ordinistica, ma lo penso per tutti coloro che come me hanno portato, a vario titolo, responsabilità negli ultimi 20 anni nel governo di questa professione e che non hanno compreso il valore strategico e non hanno quindi dato continuità politica ed organizzativa a quelle poche ma straordinarie manifestazioni unitarie dei medici che stupirono l’opinione pubblica e la politica, per la loro forza, la maturità degli obiettivi che responsabilmente e legittimamente saldavano interessi professionali ad interessi generali. Possiamo ancora stupire, anche nelle piazze, ma un progetto che voglia seriamente affrontare e gestire la crisi della nostra professione deve innanzitutto abbandonare logiche e culture del passato, spesso figlie non di convinzioni meditate ma di convenienze contingenti, funzionali alla conservazione dello status quo e delle posizioni acquisite o da acquisire . Queste logiche e queste culture ci hanno chiusi nelle nostre ridotte professionali, i Sindacati di categoria, gli Ordini, le Società Medico-scientifiche, ognuno legittimamente ed orgogliosamente custode delle proprie diversità e dei propri territori di competenza ed ognuno generosamente impegnato a dare le proprie risposte alla propria percezione dei propri problemi. Il progetto professionale che la FNOMCeO ha proposto nell’ultimo biennio e che, una volta condiviso, è stato messo in campo prima e dopo Fiuggi, rappresenta non solo un grande sforzo di proposta di una piattaforma professionale comune e condivisa ma anche l’unica prospettiva adeguata, sul piano politico, a dare nel tempo risposte efficaci ed appropriate alle criticità emergenti del moderno esercizio professionale dei medici. Questa coesione e sinergia delle rappresentanze storiche della nostra professione ci apre nuovi spazi di autorevolezza ed affidabilità verso i cittadini, le Istituzioni e la stessa Politica, spazi che dobbiamo cercare e curare aprendo confronti ed attivando eventuali collaborazioni sempre nel rigoroso rispetto della nostra autonomia e responsabilità In questo senso assume un valore sostanziale l’esplicito nostro pronunciamento sui principi generali che regolano il sistema delle cure ed il nostro primo impegno è, dunque, per una tutela della salute garantita da un 5 Servizio sanitario universale, solidale, equo ed accessibile, assicurato nel finanziamento dalla fiscalità pubblica. In questo modello la nostra professione individua non solo uno strumento formidabile di coesione tra strati sociali, generazioni, culture, per lo sviluppo dei diritti e delle libertà dei singoli e delle collettività, ma anche le condizioni permissive per lo sviluppo della moderna medicina sempre più sospinta alla innovazione dalla ricerca, dal massiccio ingresso delle tecnologie, da una circolazione vertiginosa dei saperi e dei bisogni, infine da una positiva attenzione della cultura economica che ha scoperto il valore di mercato di questo settore capace di attrarre investimenti, creare indotto ed infine redistribuire reddito e profitto. In questa nostra sanità caratterizzata dalla dominante presenza del terzo pagante pubblico che detta le sue regole, deve ancora compiutamente affermarsi un nuovo medico, quello che non possiede le strutture, le tecnologie e forse nemmeno le fonti dei saperi, ma che è invece determinante nel produrre l’efficacia dell’intero sistema quando si cala nell’universo delle domande provenienti dalle persone e dalle comunità, quando deve fare i conti con la tenuta delle risorse e con la fiducia dei cittadini. Questo nuovo medico, nel promuovere e praticare l’appropriatezza clinica, dà nuove prospettive alla sua mission di sempre, quella definita in vari articoli del nostro Codice e scolpita nel Giuramento Professionale e cioè garantire la giusta distribuzione delle risorse secondo i bisogni, tutelare prioritariamente il bene salute e il bene vita, nel rispetto della libertà e dignità della persona, senza alcuna distinzione per quelle diversità vecchie e nuove che la società costantemente propone. Sul piano più generale, vari determinanti (sociali, culturali, economici, politici) tendono a riprodurre forti elementi di disugaglianze nell’accesso e nell’utilizzo delle tutele sanitarie, il superamento o quantomeno la riduzione di queste costituisce una sfida difficile che mette a dura prova il decisore politico e che fa vacillare alcuni paradigmi della medicina e della sanità caricando ulteriormente il nostro esercizio professionale di nuove gravose responsabilità. In ragione dell’equità a cui siamo chiamati compete anche a noi esprimerci su un modello etico di gestione responsabile delle risorse, che deve dunque prevedere una distribuzione sul territorio di servizi ospedalieri e territoriali fortemente integrati per profili di intensità delle cure e tecnologicamente attrezzati, capace cioè di garantire, sul piano organizzativo e gestionale, la continuità ed efficacia dei percorsi di prevenzione, diagnosi cura e riabilitazione e, su quello tecnico professionale, il buon governo del nuovo quadro epidemiologico caratterizzato dal netto prevalere di malattie cronico - 6 degenerative in un contesto di progressivo invecchiamento della popolazione con il suo carico di nuovi bisogni assistenziali. Dovrà altresì essere l’occasione per ripensare il modello di ospedale al di là delle sue tradizionali sfide, quindi non solo tecnologie appropriate, non solo competenze coordinate, non solo ricerca formazione ed assistenza integrate, ma anche spazi fisici come occasioni di socializzazione, per mantenere viva quella rete di relazioni umane e tempi nell’organizzazione del lavoro per le parole, per le emozioni, per i racconti che sono preziose cure, troppo spesso mortificate in una offerta grigia, anonima e fredda di sale di aspetto, di dispensatori di bevande, di camici e pigiami . Non è tuttavia possibile rimodellare compiutamente il sistema delle cure specialistiche e l’ospedale senza un coerente progetto di reingegnerizzazione del sistema delle cure primarie sanitarie ed assistenziali (sociosanitario), il cosiddetto territorio. Al riguardo stiamo vivendo una stagione di coraggiose visioni organizzative e gestionali dei medici impegnati nelle cure primarie, medici di famiglia, specialisti ambulatoriali, pediatri di libera scelta, Continuità Assistenziale a cui purtroppo, fino ad oggi ,corrispondono eccessive riserve delle Regioni. Una sanità moderna ed un nuovo medico devono altresì cogliere e fare spazio, nella cultura del sistema e nei servizi resi, al nuovo paradigma della salute: l’educazione alla salute, soprattutto quella rivolta alle fasce deboli dell’infanzia-adolescenza e vecchiaia, l’attenzione agli stili di vita quali nuovi determinanti della salute, la tutela dei luoghi e degli ambienti di vita e di lavoro, devono sempre più integrare le più tradizionali attività di prevenzione primaria e secondaria, irrobustendo il ruolo di “educatore”anche in capo al medico. Una riflessione su tutte per quanto riguarda il rapporto Salute-Ambiente: oggi, nella mia regione, il Piemonte, si continua a morire di asbesto a suo tempo inalato non solo nei luoghi di lavoro ma anche nelle case, nei luoghi di ritrovo pubblici e privati vicini a questi, una tragica testimonianza che errori o sottovalutazioni in campo ambientale si pagano sempre e duramente, è solo questione di tempo. Queste considerazioni ci portano altresì a dire che un servizio sanitario moderno, equo ed accessibile, ha certamente bisogno di tecnocrazie manageriali, quelle che si pensa ci siano; di un sistema diffuso di ruoli professionali riconosciuti, quello che noi vorremmo; ma anche di consenso sociale, di partecipazione attiva e propositiva delle comunità ridefinendo e riconoscendo più spazio e più peso ai governi dei territori (municipalità, comuni, consorzi di 7 comuni), all’associazionismo no profit, nella programmazione e valutazione degli obiettivi e dei risultati di salute conseguiti nelle comunità. Un buon sistema sanitario ha bisogno di trasparenza nell’uso delle risorse e nella catena delle responsabilità, in altre parole nella definizione dei limiti di competenza tra Politica, Management e Professione . Proprio in questi giorni, anche in ragione di una ventilata accelerazione del processo legislativo in merito ai temi del cosiddetto Governo clinico ed in materia di Responsabilità Professionale, il primo alla Camera, il secondo al Senato ed entrambi già nella fase di testo unificato, abbiamo ripreso il confronto con le OO.SS di categoria. All’incontro hanno aderito 17 OO.SS di categoria, una partecipazione che va oltre quella già rilevante registrata a Fiuggi e che ha accettato come base di discussione i testi Coordinati dalla FNOMCeO, già oggetto di approvazione nei principi ispiratori, da parte del nostro Consiglio Nazionale e che vi allego alla relazione, non avendo ragionevole spazio temporale per riproporveli. (Allegato 1 e Allegato 2 ) Lavoreremo per produrre proposte condivise su queste materie largamente avvertite come fonti di disagio professionale ed a queste daremo ampio risalto sollecitando il Parlamento e le Regioni a scelte davvero capaci di dare una svolta, prospettando soluzioni efficaci. Nella comunicazione, spesso mi viene chiesto quale funzione ordinistica, oltre quella deontologico-disciplinare, consideri strategica per il prossimo futuro e non ho mai avuto dubbi nel rispondere la Promozione e la Valutazione della Qualità professionale, fondata sui saperi e sulle competenze che sono poi l’unico patrimonio sociale e civile del medico. I “fondamentali“ di un professionista di qualità si costruiscono nel lungo iter formativo universitario e riteniamo innanzitutto cruciale definire corrette politiche di accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia riconfermando come necessario lo strumento della programmazione anche a fronte di dati demografici che disegnano una curva di riduzione consistente della popolazione medica attiva a partire dal 2011 fino al 2025. Programmare i fabbisogni per i prossimi decenni non è una semplice proiezione attuariale ma una impegnativa e delicata azione politica e tecnica, che fin da oggi deve assumere la grande responsabilità di commisurare e modulare l’offerta quantitativa di medici e quali-quantitativa di specialisti ad una domanda che oggettivamente si svilupperà in uno scenario di sistema diverso dall’attuale, di cui già cogliamo i primi forti segnali. 8 Sbagliare questi passaggi o forzarli su esigenze di parte, comporta il rischio grave di produrre quel vuoto quali-quantitativo di offerta di professionisti che già affligge alcuni paesi europei, ad esempio l’Inghilterra. Tale complessità si scontra con l’insufficienza delle attuali procedure di programmazione nazionale (Regioni-Ministero Salute/Università/FNOMCeO) e regionale e soprattutto con i limiti di un sistema formativo universitario che, nonostante pregevoli sforzi, resta poco flessibile ed ulteriormente pressato dalla produzione di decine di nuovi professioni che costituiscono oggi la quota prevalente di iscrizioni alle Facoltà di Medicina e Chirurgia. Nel merito della formazione pre e post laurea del medico, “l’imparare facendo” deve assumere più peso nei curricula formativi dei medici così come devono essere rapidamente estese le iniziative di inserire nell’ambito degli studi le nuove scienze umane (la comunicazione, la deontologia, l’etica, l’antropologia, il management) come elementi costitutivi il moderno esercizio della professione medica. La formazione specialistica, così come sviluppatasi nel nostro Paese, è il paradigma di questo modello formativo insufficiente per logiche e dimensioni a fronteggiare la domanda di imparare a saper fare e saper essere, così come previsto dalle normative CEE. Il modello formativo è infatti ulteriormente evoluto, non si tratta più di studenti con borse di studio, ma di medici in formazione specialistica con contratti di lavoro a tempo determinato e, fermi restando gli obblighi di apprendimento teorico, possono e debbono completare la loro formazione specialistica con un inserimento pieno e protetto da tutors nelle attività di prevenzione, diagnosi e cura delle reti formative regionali, che, in particolare per la pediatria, devono comprendere gli ambulatori dei PLS. Nell’ambito di tali tematiche, la medicina generale si pone come una disciplina specifica, caratterizzata da una metodologia clinica propria, tempi operativi e strumenti spesso diversi da quelli appresi durante il corso di laurea. Per quanto riguarda la Formazione Permanente, in accordo con una vasta letteratura internazionale, siamo perfettamente consapevoli dei limiti del sistema ECM nel realizzare miglioramenti degli outcomes sanitari e degli skills professionali, ciononostante non si può non riconoscere il grosso merito di aver proposto e valorizzato la “cultura della formazione permanente” come attività sistematica e strutturale delle organizzazioni sanitarie. 9 Nell’ottica di chiamarsi ECM ma di muoversi nella direzione del SCP (Sviluppo Continuo Professionale) il nuovo sistema dovrà sempre più muoversi nella valorizzazione della cosiddetta formazione sul campo ovvero valorizzando a fini formativi tutte quelle attività capaci di intercettare conoscenze e competenze, rapportandole alla quotidianità degli interventi preventivi, clinico assistenziali e riabilitativi (revisioni tra pari, audit, attività di tutoraggio, partecipazione a gruppi di lavoro sulla sicurezza, sulle infezioni, sulla qualità, etc.) Le Società Medico scientifiche vanno ampiamente coinvolte in un progetto di sviluppo, diffusione, organizzazione e valutazione d’impatto delle buone pratiche e delle innovazioni in medicina ed in sanità al fine di garantire il miglioramento continuo e la valutazione delle abilità, delle competenze professionali e della qualità resa e percepita dei servizi In prospettiva dovranno configurare gli indicatori e gli standards dello sviluppo professionale; in altre parole quei portfoli di attività di prevenzione, clinico assistenziali, di formazione, di aggiornamento, di insegnamento, di ricerca ai quali, dopo una verifica e valutazione positiva, far corrispondere livelli crescenti di accreditamento professionale. Questo sistema volontario, che si propone come una opportunità ai professionisti, ci appare come una risposta ragionevole e praticabile a quella richiesta ormai pressante in molti sistemi sanitari di procedere quantomeno ad una periodica (quinquennale) rivalidazione della cosiddetta licenza specialistica. Va altresì irrobustita nelle partite finanziarie e meglio qualificata la spesa pubblica regionale in ricerca biomedica pura e translazionale attraverso l’individuazione di una specifica funzione di governo, autorevole, terza, affidabile alla committenza ed ai provider di ricerca, che sappia mettere in rete tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti attraendo in tali contesti, risorse private “libere“ da conflitti di interesse, oggi indispensabili allo sviluppo della ricerca. In questi ultimi mesi si sono fatte più pressanti le sollecitazioni a riprendere il cammino della legge che istituisce gli Ordini delle nuove professioni sanitarie dopo la scadenza delle delega dello scorso anno. Nei prossimi giorni, con il Vicepresidente Benato e il Presidente della CAO Nazionale Renzo, insieme a rappresentanti della Federazione dei Veterinari e dei Farmacisti, avremo un incontro di lavoro con il Parlamentare Europeo on. Zappalà e con una delegazione qualificata delle professioni sanitarie per condividere un’agenda di lavori. 10 Credo che dovremo valutare con molto realismo l’ipotesi che questa possa essere la strada per quella riforma specifica delle professioni sanitarie e degli Ordini di riferimento che invano attendiamo da un processo riformatore che coinvolga tutto il sistema delle professioni intellettuali e sul quale ci eravamo espressi con un documento generale sottoscritto da tutte le OO.SS. mediche e odontoiatriche (all. 3). Naturalmente costituiremo un gruppo di lavoro e, prima di ogni passaggio determinante, il Consiglio Nazionale sarà chiamato ad esprimersi; ma fin da subito vanno condivisi alcuni orientamenti di carattere generale che riteniamo debbano caratterizzare un moderno profilo di rapporti con le professioni sanitarie non mediche. Laddove sono evidenti fenomeni di erosione di spazi di competenze mediche e odontoiatriche, ampiamente favorite quando non legittimate da una legislazione che sciaguratamente è stata da noi trascurata negli anni passati, abbiamo fatto sentire e faremo sentire il peso della nostra opposizione ferma. Nello stesso tempo dobbiamo però uscire da questi schemi politici e giuridici, da questa infinita storia segnata da guerre di confine combattute sul campo e nelle aule di giustizia civile con esiti per noi poco incoraggianti . In questa prospettiva non deve sfuggirci la straordinaria forza innovatrice messa in campo dallo sviluppo delle conoscenze e delle competenze in ambito sanitario non medico e che la formazione universitaria ha definitivamente certificato; un fenomeno che supera e sempre più spesso travolge i tradizionali modelli assistenziali e gli antichi ruoli professionali in questi presenti. Noi riteniamo che tali cambiamenti, spesso percepiti e vissuti dal medico come aggressioni al proprio status professionale, per esprimersi al meglio, abbiano bisogno di svilupparsi in una nuova cornice giuridica che contempli le seguenti questioni. · Una definizione del profilo giuridico, unico e condiviso, di atto medico che ne tracci le potestà e i limiti al fine di meglio definire le potestà ed i limiti degli atti da riservare ad altre professioni sanitarie anche attraverso una nuova tassonomia giuridica delle professioni e dei relativi profili da correlare ai percorsi formativi; · Una presa d’atto che il processo di sviluppo di nuove competenze settoriali nel campo della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione non può più tradursi nell’individuazione di ulteriori professioni sanitarie, caratterizzate cioè da un percorso formativo universitario e dall’esercizio di atti e competenze riservate, ma recuperando e valorizzando la funzione 11 formativa delle strutture e dei professionisti del Servizio Sanitario Nazionale riconosciute ed accreditate sulla base di requisiti e criteri validi e unici su tutto il territorio nazionale, conformi alle Direttive Europee in materia e abilitati a rilasciare diplomi triennali e possibilità di accedere a successivi master specialistici; · Possibilità di accesso delle professioni sanitarie alla dirigenza del SSN esclusivamente e limitatamente a ruoli e funzioni coerenti con il biennio specialistico (3 + 2) notoriamente prevista solo per le attività di formazione e organizzazione, su posizioni dirigenziali da individuarsi su scala aziendale; · Prevedere che, all’interno di modelli operativi e funzionali fondati sulla cooperazione e rispetto delle prerogative di tutte le professioni coinvolte nelle attività, l’autonomia e la responsabilità tecnico professionale ed organizzativo-gestionale del medico mantengano un indiscussa centralità a garanzia della continuità e unitarietà dei processi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. I difetti della nostra sanità vengono spesso attribuiti alla sua natura pubblica sebbene, nella realtà dei fatti, la presenza del privato è massiccia ed ubiquitaria tanto da porre, almeno dal nostro punto di vista, alcune questioni che coinvolgono l’esercizio professionale di decine di migliaia di medici. Non è solo un problema sindacale, che ovviamente non ci compete, ma piuttosto di condizioni di qualità, autonomia e sicurezza dell’esercizio professionale che invece non possiamo trascurare e che ci porta a sostenere che le strutture pubbliche e private, devono erogare prestazioni con uguali standard qualitativi e, a tal fine, devono possedere risorse analoghe sul piano tecnologico, strutturale ed umano e valutati con indicatori comuni. Crediamo inoltre che vada decisamente combattuta e vinta una battaglia di contrasto al precariato professionale in genere, e medico in particolare, con le paghe orarie da colf, con un mordi e fuggi, senza progetti professionali che ha assunto dimensioni allarmanti negli ultimi anni invadendo settori di attività non marginali dei servizi sanitari pubblici e privati . Per quanto riguarda le Medicine e pratiche non convenzionali, la Legge Regionale della Toscana n. 9 del 19.2.2007 (Modalità di esercizio delle medicine complementari da parte dei Medici e Odontoiatri, dei Medici Veterinari e Farmacisti), prospetta una soluzione di riferimento, fortemente incentrata sul ruolo delle Regioni e degli Ordini professionali quali autorità garanti della formazione e delle attività, limitatamente ad alcune discipline (agopuntura, omeopatia, fitoterapia). 12 Risulta evidente che manca a tale normativa, di per sé positiva ed equilibrata, quella cornice normativa nazionale che impedisca la frammentazione dell’impianto regolatorio in tante differenti soluzioni regionali, con il rischio di “dumpig regolatori” o peggio, di inconciliabilità di normative. Questo “bisogno di regolazione” delle medicine e terapie non convenzionali cresce in proporzione diretta con la crescita della domanda di questi servizi e le soluzioni da offrire devono essere omogenee e coerenti su tutto il territorio nazionale. Tali considerazioni rafforzano la convinzione che il punto di equilibrio e di garanzia verso i cittadini non possa che essere la riconduzione delle principali medicine e pratiche, non convenzionali, ad atti medici e più in generale ad attività riservate alle professioni sanitarie, esprimendo così non una generica validazione scientifica di tali attività, ma piuttosto riportando alla responsabilità professionale e giuridica, propria dei professionisti medici, odontoiatri, farmacisti e veterinari, l’uso più appropriato, efficace e sicuro di tali attività, dalla diagnosi, alla terapia, alla preparazione e messa in commercio dei farmaci e rimedi. La scelta di un confronto e di un dialogo non ha dunque il significato, che spesso in modo ingeneroso ci viene rivolto, di negare o sminuire l’immenso valore della medicina scientifica ma riteniamo che, quali Enti ausiliari dello Stato, ci competa tutelare i cittadini ed i professionisti, contribuendo ad indirizzare, governare e, se del caso, avversare con fermezza quei fenomeni che contrastino con una efficace e sicura tutela del diritto alla salute, con la libertà di scelta dei cittadini infine con un esercizio autonomo e responsabile delle nostre professioni. In un Seminario del Comitato Centrale aperto a competenze del Ministero del Welfare e delle Regioni svoltosi nel luglio scorso a Trieste, abbiamo individuato alcuni aspetti regolatori che ci paiono ineludibili e come tali riteniamo debbano assumere, sotto il profilo giuridico, le caratteristiche di principi fondamentali in capo alla legislazione nazionale. Nel progetto di ridefinizione della nostra identità tecnico professionale, civile e sociale assume un ruolo centrale la deontologia posta a garanzia della moderna alleanza terapeutica L’esercizio di questo ruolo forte di garanzia che nessun altro può compiutamente e legittimamente avocare o revocare, non è una scelta del medico, bensì un suo obbligo perché la nostra professione è fortemente esposta e responsabile sul piano dell’accessibilità ad alcuni diritti costituzionalmente sanciti (tutela della salute e della vita, della libertà e dignità della persona, della giustizia, della riservatezza, etc.) cosicché il nostro quotidiano esercizio 13 professionale inevitabilmente intercetta forti valori civili riferiti alla persona e alle comunità, sempre più plurali, o meglio sempre più globali, per culture, storie, religioni, riferimenti etici. Non mancano (e non mancheranno!) occasioni per cimentare queste funzioni in passaggi delicati della nostra convivenza civile; basti pensare a due questioni oggi sugli scudi, apparentemente distanti se viste nello specifico ma straordinariamente vicine se viste alla luce dei principi fondanti la nostra deontologia e cioè la cancellazione del divieto di denuncia dei clandestini, previsto nel decreto sicurezza attualmente in seconda lettura alla Camera, e il profilo del dibattito che ha accompagnato l’iter di approvazione in prima lettura al Senato del DDL sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. Riguardo alla prima questione sulla quale è già intervenuto con forza ed autorevolezza questo Consiglio Nazionale, al di là della grave e sciagurata sottostima dei rischi per la tutela della salute pubblica derivante dalla prevedibile immersione nella clandestinità di malati anche infettivi e contagiosi, ferisce la leggerezza con la quale si vuole svestire “ope legis“ la nostra professione di quella irrinunciabile alea di terzietà, di accoglienza, di solidarietà nella cura delle persone. In questi mesi abbiamo più volte sollecitato un ripensamento del Parlamento, forse anche la nostra azione ha finalmente aperto un varco nell’intransigenza di alcune posizioni politiche e, se tutto andrà nella direzione auspicata, alla fine sarà cresciuta, nell’immagine e nel diritto, la forza civile della nostra professione quale strumento di garanzia erga omnes di un diritto, quello alla tutela della salute, che, nella nostra Costituzione, è sancito quale diritto naturale dell’individuo e non solo del cittadino, giuridicamente inteso. Questo diremo nel corso della Audizione alla quale siamo stati chiamati presso la Commissione Giustizia della Camera il 22 Aprile. Sulla seconda questione mi limito ad alcune considerazioni per lasciare tutto lo spazio a quanto emerso nei Forum . Ritengo che la vicenda Englaro abbia segnato un punto di non ritorno, le questioni che ha posto ed i conflitti giuridici che ha aperto possono essere riequilibrati solo attraverso un intervento legislativo che paradossalmente deve però sottrarsi alle grandi emozioni del caso “Eluana”. Lo abbiamo detto in passato e lo ripetiamo oggi: occorre un dispositivo leggero che definisca modalità, finalità, contenuti e limiti delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, quale eccezionale e particolare estensione del principio del consenso/dissenso informato e consapevole da parte del paziente ai trattamenti in una condizione, quella di un danno irreversibile delle capacità 14 cognitive di sé e di relazione con l’ambiente, determinanti una attuale incapacità di intendere e volere . Dicendo “leggero” intendiamo “mite”, che non deve occupare ed assorbire la relazione di cura o meglio quella alleanza terapeutica che si fonda su un responsabile bilanciamento tra la libertà di scelta del paziente e l’esercizio autonomo delle tutele in capo al medico. Sono personalmente convinto che, quando una persona passa dalla condizione di capace a quella di incapace, non può veder diminuire la quantità e la qualità dei suoi diritti ma deve invece poter contare su un aumento della quantità e della qualità delle tutele per garantire al meglio lo stesso diritto. Ritengo che stia anche in questo la forza civile oltre che tecnica ed etica dell’alleanza terapeutica così fortemente rilanciata nel nuovo Codice Deontologico: un incontro non occasionale, ma unico ed irripetibile, di competenze, responsabilità e valori espressi da un medico ed un paziente che devono parlarsi, capirsi e rispettarsi. Non c’è legge o norma che ragionevolmente possa surrogare questo universo all’interno del quale, in ragione di un diritto mite e di un’ etica forte, proteggere gli incontri tra gli uomini che si pongono le domande più difficili. Anche per questo abbiamo chiesto alla politica ed al Parlamento una pausa di riflessione e, relativamente gli stati vegetativi, l’avvio di uno studio osservazionale rigoroso sulle aree di incertezza diagnostiche, prognostiche, terapeutiche ed assistenziali Così sarà possibile irrobustire la struttura della scelta, dando risposte al principio di precauzione in più occasioni invocato, in modo che i pazienti e le loro famiglie, nonché gli stessi medici, possano disporre di robuste evidenze su cui fondare le proprie scelte Conclusioni Più in generale in questo progetto ci deve animare il comune disegno di una Professione medica vicina alle Istituzioni sanitarie, a supporto dei loro compiti di tutela della salute pubblica ed ai cittadini soprattutto dove e quando sono oltraggiati da disinformazione, silenzi, incapacità amministrative e colpiti nei loro diritti alla tutela della salute da una devastazione dei territori, degli ambienti di vita e di lavoro. 15 Una vicinanza ai cittadini, ai loro bisogni, alle loro inquietudini oggi più che mai indispensabile per dare risposte forti ed equilibrate ai dubbi e alle incertezze tecniche, civili, etiche, che il travolgente sviluppo della medicina inevitabilmente propone. Dobbiamo tutelare i nostri giovani, garantendone l’ottimale formazione di base e specialistica, favorendo il loro ingresso nella professione, proteggendo lo sviluppo delle loro conoscenze e competenze attraverso fonti autorevoli e libere da conflitti di interesse. Dobbiamo contribuire a rendere il sistema sanitario affidabile per i cittadini, a vincere la sfida della sostenibilità economica assumendoci la responsabilità morale e tecnico professionale dell’uso appropriato delle risorse. Un’ultima riflessione prima di chiudere mi porta ancora una volta ad incoraggiarvi ad avere fiducia e speranze nel futuro, e soprattutto a sfidare operosamente ed orgogliosamente il tempo, affermando che la storia più bella della nostra vita professionale è quella che dobbiamo ancora scrivere e vivere.

CLINICA PRATICA

I pazienti cronici che utilizzano MC migliorano la qualità di vita di Carlo Di Stanislao La ricerca, condotta presso due diversi centri universitari, uno canadese (Università di Alberta) e l'altro statunitense (Università dell'Arizona), ha esaminato 76 individui adulti con cancro o malattie a carattere cronico di tipo non neoplastico, intervistate in due diverse e successive sessioni, circa l'impatto sulla qualità della vita delle MC, da loro usate in via esclusiva oppure, più spesso, come integrazione alle terapie ufficiali. Sono stati inclusi in modo consecutivo tutti i pazienti giunti all'osservazione nel corso di tre mesi consecutivi presso i due centri, che eseguivano una o più terapie complementari e si mostravano disponibili ed affidabili nel rispondere ad un questionario erogato dai sanitari. Le interviste sono state di nuovo erogate dopo sei mesi in ciascun paziente. E' emerso che è opinione dei pazienti che utilizzano discipline complementari, che queste sono efficaci e prive di effetti collaterali, che possono abbinarsi a terapie farmacologiche, che ne riducono le reazioni avverse e migliorano, globalmente, la cenestesi, la performance individuale e, in definitiva, la qualità della vita. Come in precedenti studi, tuttavia, appare evidente che più della metà dei pazienti si autoprescrive terapie (fitoterapici, integratori alimentari, omeopatici) senza consultare un esperto o non mettendo al corrente i medici curanti. Sebbene l'identikit del consumatore è donna, bianca, di buona cultura e di alto status socio-economico, sotto il profilo delle scelte lo studio conferma il dato emerso nel 2004 (S.M. Rhee et al., Arch Int Med, 2004): le discipline applicate sono proporzionali al reddito dei pazienti selezionati, per cui le fasce più povere si rivolgono alle procedure di minor costo (preghiera, meditazione, etc.), le più ricche a integratori, fitoterapia, chiropratica, agopuntura. Circa l'impiego di fitoterapici ed integratori, questi generalmente seguono le mode del momento, creando un panorama molto variabile nel tempo. Rispetto a dati di soli cinque fa, si dimostra che Ginkgo biloba e Panax ginseng sono in calo, mentre sarebbero in considerevole aumento il ricorso a integratori come la luteina, un carotenoide affine alla vitamina A, aggiunta frequentemente ai prodotti multivitaminici. Va infine detto che, come in una ricerca del 2005 (Kelly JP et al., Arch Int Med, 2005), l'uso dei prodotti varia molto in funzione dell'età e del sesso, quanto alle ragioni dell'uso sono più di una. Un terzo dei consumatori parla, comunque, in termini più generali di vitamine e integratori dietetici, non conoscendo, nello specifico, il preciso scopo terapeutico di tali scelte in più del 75% dei casi. JACM, 2007, 13, (6), 659 Per leggere l'abstract >>> cliccare qui

Pronunciamento FNOMCeO sulle medicine e pratiche non convenzionali

Approvata all'unanimità, in un Comitato Centrale FNOMCeO appena rieletto, la relazione del Presidente Amedeo Bianco che ha affrontato anche le problematiche legate alla pratica delle medicine complementari. di Simonetta Bernardini Nel documento si legge la considerazione della Federazione per la Legge Toscana 9/07 giudicata "positiva ed equilibrata" che prospetta una "soluzione di riferimento fortemente incentrata sul ruolo delle Regioni e degli Ordini professionali, quali autorità garanti della formazione e delle attività, limitatamente ad alcune discipline (agopuntura, omeopatia, fitoterapia)". Nel contempo la FNOM auspica che si addivenga ad una normativa nazionale, nell'intento di scongiurare una frammentazione in tante soluzioni regionali con "il rischio di dumping regolatori o, peggio, di inconciliabilità di normative". Tenuto conto che il "bisogno di regolazione delle MC cresce in proporzione con la crescita delle medicine e terapie non convenzionali in proporzione diretta con la crescita della domanda di questi servizi" ritiene che "le soluzioni da offrire devono essere omogenee e coerenti sul tutto il territorio nazionale". La FNOM ribadisce inoltre che, a garanzia dei cittadini, le principali medicine e pratiche non convenzionali debbano essere attività del medico e, più in generale, riportando alla responsabilità professionale e giuridica dei medici, odontoiatri, veterinari e farmacisti l'uso più appropriato, efficace e sicuro di tali attività professionali, "dalla diagnosi, alla terapia, alla messa in commercio dei farmaci e rimedi". La FNOMCeO, ribadisce che la scelta della Federazione di promuovere un confronto e un dialogo non è, come spesso e in modo ingeneroso è stato interpretato, una volontà di negare o sminuire l'immenso valore della medicina scientifica, quanto piuttosto il dovere di un Ente ausiliario dello Stato, quale gli ordini dei Medici, di tutelare i cittadini ed i professionisti "contribuendo ad indirizzare, governare e, se del caso, avversare con fermezza quei fenomeni che contrastino con una efficace tutela del diritto alla salute, con la libertà di scelta dei cittadini e con un esercizio autonomo e responsabile delle professioni". Infine nel documento Bianco riafferma gli aspetti regolatori ineludibili ai fini di una regolamentazione nazionale emersi nel Seminario del Comitato centrale del luglio scorso a Trieste, svoltosi in collaborazione con il Ministero del Welfare e con le regioni.

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