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Roma 17 Aprile 2009
Premessa
L’odierno Consiglio Nazionale fa seguito al rinnovo del Comitato Centrale
per il triennio 2009-2011 e rappresento il comune sentire dei colleghi neoeletti e
riconfermati nel rivolgere un ringraziamento a quanti ci hanno investito della
loro fiducia.
Con altrettanta sincerità, interpretando un sentire ugualmente condiviso,
ringrazio quei Colleghi che, presentando una lista ed un progetto professionale
concorrente, hanno animato ed arricchito l’ultima competizione elettorale.
Presto avrete dimestichezza con il nuovo Segretario della Federazione e
Presidente dell’Ordine di Napoli, dott. Gabriele Peperoni e con il nuovo
Tesoriere nonché presidente CAO di Avellino, dott. Raffaele Iandolo, entrambi
sono già del tutto inseriti nelle loro funzioni istituzionali e oggi chiamati ad
esercitarle nell’autorevolezza di questa assemblea dei Presidenti .
A nessuno di noi sfugge la particolare importanza di questo Consiglio
Nazionale considerato che l’ordine del giorno prevede la presentazione e
l’approvazione del bilancio di previsione, ovvero il documento economico
finanziario con il quale il nuovo Comitato Centrale intende sostenere quel
progetto di gestione della Federazione e quelle iniziative di politiche
professionali, così come indicato nel programma premiato dal consenso
maggioritario nel confronto elettorale.
Non entro nel merito tecnico del bilancio preventivo ma non posso nè voglio
sottrarmi alle responsabilità di dichiarare in modo esplicito alcune scelte che
hanno informato la stesura del documento, sottolineandone gli obiettivi più
qualificanti.
1) Il preconsuntivo 2008, basato su dati molto prossimi a quelli definitivi,
conferma un trend complessivo di spese correnti inferiori alle entrate
correnti testimoniando l’efficienza di quel rigoroso controllo delle uscite
avviato tre anni fa. Questa struttura della spesa fa prevedere, salvo
diverse scelte normative sulla possibilità di differenziare le quote o altre
contingenze impreviste, una sostanziale sufficienza e stabilità degli attuali
importi a carico degli Ordini per il triennio 2009-2011.
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2) Il sostanzioso avanzo di amministrazione, di poco superiore ai 3 milioni
di euro, è il polmone economico - finanziario della Federazione; ci
consente infatti di non avere sofferenze di cassa stante il flusso incostante
delle rimesse dagli Ordini provinciali ma soprattutto ci permette di
ragionare in prospettiva medio lunga, non costretti da contingenze, su
alcune questioni: una su tutte la disponibilità di una sede più adeguata
all’immagine ed ai nuovi concreti impegni della Federazione. Contiamo
di sottoporre ad un prossimo Consiglio Nazionale un dossier sulle varie
ipotesi percorribili perché possa assumere decisioni in merito.
3) Sono state individuate ulteriori risorse per supportare i nostri Ordini
piccoli e medi, nel raggiungere e mantenere determinati standards di
servizi (tutele assicurative e legali, informatizzazione delle anagrafiche e
delle procedure amministrative, corsi Fad, etc) e di attività istituzionali
che rafforzano il radicamento e la visibilità degli enti nella comunità
professionale e sociale locale (ad esempio finanziamenti ad attività
convegnistiche svolte in partnership con la Federazione).
4) Sono state dedicate ulteriori risorse al potenziamento delle attività del
Consiglio Nazionale, (5-6 incontri/anno) quale baricentro del processo di
costruzione e diffusione delle politiche della professione, avvalendosi a
tale scopo dell’apporto sistematico di gruppi di lavoro agili, con mandati
specifici in merito a questioni sulle quali dobbiamo esprimerci
proponendo le nostre soluzioni.
5) Si è inteso rafforzare la presenza culturale e propositiva delle nostre
istituzioni in campo nazionale programmando almeno tre Convegni
Nazionali all’anno, più seminari, workshop, forum, in ragione di
questioni emergenti, supportati dal Comitato Centrale ma aperti alla
partecipazione.
6) Specifiche risorse sono state destinate a intensificare nella struttura
operativa della Federazione, le attività di quattro aree che consideriamo
di valenza strategica e per questo in staff con l’Esecutivo ed il Comitato
Centrale della FNOMCeO e più precisamente:
A)- Area Comunicazione, Informazione, Editoriale
B)- Area Centro Studi, Documentazione e Ricerca
C)- Area Programmazione fabbisogni e Formazione
Universitaria pre e post laurea
D)- Consulta Permanente Bioetica e Deontologica
7) E’ stata confermata, in modo convinto e sostanziale, una scelta
Federativa che promuove e garantisce l’esercizio pieno delle autonome e
specifiche attività della componente odontoiatrica, attraverso una
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apposita destinazione di congrue risorse; considerando quindi la
ricchezza del loro lavoro, un patrimonio per tutta la nostra istituzione.
Considerazioni generali
Nel prospettare il vasto e complesso profilo degli impegni che nel prossimo
futuro la FNOMCeO intende responsabilmente assumere, è necessario
innanzitutto prospettare soluzioni a quel crescente disagio professionale che i
medici vivono, in ragione delle profonde e rapide innovazioni dei contenuti della
medicina e dell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari.
Paradossalmente questo processo di perdita di identità professionale, di
svuotamento di ruoli sociali e civili prende ulteriore vigore in una fase in cui è
esponenziale la crescita dei saperi e dei poteri della medicina, determinando, nel
vissuto e nel percepito dei medici profonde incertezze sui fini e sugli scopi della
medicina, della sanità e dello stesso esercizio professionale.
Tali incertezze si superano individuando i determinanti dei grandi
processi di cambiamento, valutando il loro impatto tecnico professionale, etico e
sociale sul complesso sistema delle cure e dell’assistenza, sulle pratiche
professionali, per contrastarne le derive minacciose, per accettarne invece le
sfide capaci di produrre miglioramenti e tentare così un riposizionamento,
autonomo e responsabile, della nostra professione nel core di quei processi
decisionali che oggettivamente le competono e dai quali risulta emarginata.
Non è facile rivendicare ruoli autonomi ed avocare responsabilità in un
contesto che, sempre più spesso, mette in evidenza preoccupanti inadeguatezze
del decisore politico ad assumere le scelte che gli competono sugli aspetti
direttamente connessi con il corpo umano e con i suoi valori etici e civili e, più in
generale, con le questioni di carattere sanitario concernenti le garanzie
dell’equità e dell’efficacia della tutela della salute.
Le scelte in sanità coinvolgono diritti dei cittadini e libertà delle persone e,
anche per questo, hanno bisogno di una politica buona, capace cioè di scegliere
gli indirizzi con autorevolezza, trasparenza e responsabilità, così come di una
gestione dei servizi di cura ed assistenza competente ed efficiente nell’uso delle
risorse Tuttavia il cerchio virtuoso fatica a chiudersi, se i professionisti sono
tenuti nell’angolo, ridotti ad una anonima prima linea, esposta su un fronte
sconfinato di mediazioni difficili tra presunte infallibilità e limiti della medicina
e dei medici, tra domande infinite e risposte possibili, tra speranze e le evidenze,
tra accessibilità ed equità, tra chi decide e che cosa si decide.
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Se è vera anche solo una piccola parte di quanto fino ad ora
rappresentato, resta comunque enorme il compito che abbiamo di fronte a noi,
che ingigantisce le inadeguatezze del passato, non solo della nostra Federazione,
nel definire progetti di politiche per la professione, troppo spesso ridotte a mera
difesa di interessi contingenti e categoriali, nell’illusione miope che, salvando le
rispettive parti, si potesse salvare il tutto.
Sto parlando innanzitutto di me stesso, della mia esperienza sindacale
prima ancora che ordinistica, ma lo penso per tutti coloro che come me hanno
portato, a vario titolo, responsabilità negli ultimi 20 anni nel governo di questa
professione e che non hanno compreso il valore strategico e non hanno quindi
dato continuità politica ed organizzativa a quelle poche ma straordinarie
manifestazioni unitarie dei medici che stupirono l’opinione pubblica e la
politica, per la loro forza, la maturità degli obiettivi che responsabilmente e
legittimamente saldavano interessi professionali ad interessi generali.
Possiamo ancora stupire, anche nelle piazze, ma un progetto che voglia
seriamente affrontare e gestire la crisi della nostra professione deve innanzitutto
abbandonare logiche e culture del passato, spesso figlie non di convinzioni
meditate ma di convenienze contingenti, funzionali alla conservazione dello
status quo e delle posizioni acquisite o da acquisire .
Queste logiche e queste culture ci hanno chiusi nelle nostre ridotte
professionali, i Sindacati di categoria, gli Ordini, le Società Medico-scientifiche,
ognuno legittimamente ed orgogliosamente custode delle proprie diversità e dei
propri territori di competenza ed ognuno generosamente impegnato a dare le
proprie risposte alla propria percezione dei propri problemi.
Il progetto professionale che la FNOMCeO ha proposto nell’ultimo
biennio e che, una volta condiviso, è stato messo in campo prima e dopo Fiuggi,
rappresenta non solo un grande sforzo di proposta di una piattaforma
professionale comune e condivisa ma anche l’unica prospettiva adeguata, sul
piano politico, a dare nel tempo risposte efficaci ed appropriate alle criticità
emergenti del moderno esercizio professionale dei medici.
Questa coesione e sinergia delle rappresentanze storiche della nostra
professione ci apre nuovi spazi di autorevolezza ed affidabilità verso i cittadini,
le Istituzioni e la stessa Politica, spazi che dobbiamo cercare e curare aprendo
confronti ed attivando eventuali collaborazioni sempre nel rigoroso rispetto
della nostra autonomia e responsabilità
In questo senso assume un valore sostanziale l’esplicito nostro
pronunciamento sui principi generali che regolano il sistema delle cure ed il
nostro primo impegno è, dunque, per una tutela della salute garantita da un
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Servizio sanitario universale, solidale, equo ed accessibile, assicurato nel
finanziamento dalla fiscalità pubblica.
In questo modello la nostra professione individua non solo uno strumento
formidabile di coesione tra strati sociali, generazioni, culture, per lo sviluppo dei
diritti e delle libertà dei singoli e delle collettività, ma anche le condizioni
permissive per lo sviluppo della moderna medicina sempre più sospinta alla
innovazione dalla ricerca, dal massiccio ingresso delle tecnologie, da una
circolazione vertiginosa dei saperi e dei bisogni, infine da una positiva
attenzione della cultura economica che ha scoperto il valore di mercato di
questo settore capace di attrarre investimenti, creare indotto ed infine
redistribuire reddito e profitto.
In questa nostra sanità caratterizzata dalla dominante presenza del terzo
pagante pubblico che detta le sue regole, deve ancora compiutamente affermarsi
un nuovo medico, quello che non possiede le strutture, le tecnologie e forse
nemmeno le fonti dei saperi, ma che è invece determinante nel produrre
l’efficacia dell’intero sistema quando si cala nell’universo delle domande
provenienti dalle persone e dalle comunità, quando deve fare i conti con la
tenuta delle risorse e con la fiducia dei cittadini.
Questo nuovo medico, nel promuovere e praticare l’appropriatezza
clinica, dà nuove prospettive alla sua mission di sempre, quella definita in vari
articoli del nostro Codice e scolpita nel Giuramento Professionale e cioè
garantire la giusta distribuzione delle risorse secondo i bisogni, tutelare
prioritariamente il bene salute e il bene vita, nel rispetto della libertà e dignità
della persona, senza alcuna distinzione per quelle diversità vecchie e nuove che
la società costantemente propone.
Sul piano più generale, vari determinanti (sociali, culturali, economici,
politici) tendono a riprodurre forti elementi di disugaglianze nell’accesso e
nell’utilizzo delle tutele sanitarie, il superamento o quantomeno la riduzione di
queste costituisce una sfida difficile che mette a dura prova il decisore politico e
che fa vacillare alcuni paradigmi della medicina e della sanità caricando
ulteriormente il nostro esercizio professionale di nuove gravose responsabilità.
In ragione dell’equità a cui siamo chiamati compete anche a noi
esprimerci su un modello etico di gestione responsabile delle risorse, che deve
dunque prevedere una distribuzione sul territorio di servizi ospedalieri e
territoriali fortemente integrati per profili di intensità delle cure e
tecnologicamente attrezzati, capace cioè di garantire, sul piano organizzativo e
gestionale, la continuità ed efficacia dei percorsi di prevenzione, diagnosi cura e
riabilitazione e, su quello tecnico professionale, il buon governo del nuovo
quadro epidemiologico caratterizzato dal netto prevalere di malattie cronico -
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degenerative in un contesto di progressivo invecchiamento della popolazione con
il suo carico di nuovi bisogni assistenziali.
Dovrà altresì essere l’occasione per ripensare il modello di ospedale al di
là delle sue tradizionali sfide, quindi non solo tecnologie appropriate, non solo
competenze coordinate, non solo ricerca formazione ed assistenza integrate, ma
anche spazi fisici come occasioni di socializzazione, per mantenere viva quella
rete di relazioni umane e tempi nell’organizzazione del lavoro per le parole, per
le emozioni, per i racconti che sono preziose cure, troppo spesso mortificate in
una offerta grigia, anonima e fredda di sale di aspetto, di dispensatori di
bevande, di camici e pigiami .
Non è tuttavia possibile rimodellare compiutamente il sistema delle cure
specialistiche e l’ospedale senza un coerente progetto di reingegnerizzazione del
sistema delle cure primarie sanitarie ed assistenziali (sociosanitario), il
cosiddetto territorio.
Al riguardo stiamo vivendo una stagione di coraggiose visioni
organizzative e gestionali dei medici impegnati nelle cure primarie, medici di
famiglia, specialisti ambulatoriali, pediatri di libera scelta, Continuità
Assistenziale a cui purtroppo, fino ad oggi ,corrispondono eccessive riserve delle
Regioni.
Una sanità moderna ed un nuovo medico devono altresì cogliere e fare
spazio, nella cultura del sistema e nei servizi resi, al nuovo paradigma della
salute: l’educazione alla salute, soprattutto quella rivolta alle fasce deboli
dell’infanzia-adolescenza e vecchiaia, l’attenzione agli stili di vita quali nuovi
determinanti della salute, la tutela dei luoghi e degli ambienti di vita e di lavoro,
devono sempre più integrare le più tradizionali attività di prevenzione primaria
e secondaria, irrobustendo il ruolo di “educatore”anche in capo al medico.
Una riflessione su tutte per quanto riguarda il rapporto Salute-Ambiente:
oggi, nella mia regione, il Piemonte, si continua a morire di asbesto a suo tempo
inalato non solo nei luoghi di lavoro ma anche nelle case, nei luoghi di ritrovo
pubblici e privati vicini a questi, una tragica testimonianza che errori o
sottovalutazioni in campo ambientale si pagano sempre e duramente, è solo
questione di tempo.
Queste considerazioni ci portano altresì a dire che un servizio sanitario
moderno, equo ed accessibile, ha certamente bisogno di tecnocrazie manageriali,
quelle che si pensa ci siano; di un sistema diffuso di ruoli professionali
riconosciuti, quello che noi vorremmo; ma anche di consenso sociale, di
partecipazione attiva e propositiva delle comunità ridefinendo e riconoscendo
più spazio e più peso ai governi dei territori (municipalità, comuni, consorzi di
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comuni), all’associazionismo no profit, nella programmazione e valutazione
degli obiettivi e dei risultati di salute conseguiti nelle comunità.
Un buon sistema sanitario ha bisogno di trasparenza nell’uso delle risorse
e nella catena delle responsabilità, in altre parole nella definizione dei limiti di
competenza tra Politica, Management e Professione .
Proprio in questi giorni, anche in ragione di una ventilata accelerazione
del processo legislativo in merito ai temi del cosiddetto Governo clinico ed in
materia di Responsabilità Professionale, il primo alla Camera, il secondo al
Senato ed entrambi già nella fase di testo unificato, abbiamo ripreso il confronto
con le OO.SS di categoria.
All’incontro hanno aderito 17 OO.SS di categoria, una partecipazione che
va oltre quella già rilevante registrata a Fiuggi e che ha accettato come base di
discussione i testi Coordinati dalla FNOMCeO, già oggetto di approvazione nei
principi ispiratori, da parte del nostro Consiglio Nazionale e che vi allego alla
relazione, non avendo ragionevole spazio temporale per riproporveli. (Allegato
1 e Allegato 2 )
Lavoreremo per produrre proposte condivise su queste materie
largamente avvertite come fonti di disagio professionale ed a queste daremo
ampio risalto sollecitando il Parlamento e le Regioni a scelte davvero capaci di
dare una svolta, prospettando soluzioni efficaci.
Nella comunicazione, spesso mi viene chiesto quale funzione ordinistica,
oltre quella deontologico-disciplinare, consideri strategica per il prossimo futuro
e non ho mai avuto dubbi nel rispondere la Promozione e la Valutazione della
Qualità professionale, fondata sui saperi e sulle competenze che sono poi l’unico
patrimonio sociale e civile del medico.
I “fondamentali“ di un professionista di qualità si costruiscono nel lungo
iter formativo universitario e riteniamo innanzitutto cruciale definire corrette
politiche di accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia riconfermando
come necessario lo strumento della programmazione anche a fronte di dati
demografici che disegnano una curva di riduzione consistente della popolazione
medica attiva a partire dal 2011 fino al 2025.
Programmare i fabbisogni per i prossimi decenni non è una semplice
proiezione attuariale ma una impegnativa e delicata azione politica e tecnica,
che fin da oggi deve assumere la grande responsabilità di commisurare e
modulare l’offerta quantitativa di medici e quali-quantitativa di specialisti ad
una domanda che oggettivamente si svilupperà in uno scenario di sistema
diverso dall’attuale, di cui già cogliamo i primi forti segnali.
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Sbagliare questi passaggi o forzarli su esigenze di parte, comporta il
rischio grave di produrre quel vuoto quali-quantitativo di offerta di
professionisti che già affligge alcuni paesi europei, ad esempio l’Inghilterra.
Tale complessità si scontra con l’insufficienza delle attuali procedure di
programmazione nazionale (Regioni-Ministero Salute/Università/FNOMCeO) e
regionale e soprattutto con i limiti di un sistema formativo universitario che,
nonostante pregevoli sforzi, resta poco flessibile ed ulteriormente pressato dalla
produzione di decine di nuovi professioni che costituiscono oggi la quota
prevalente di iscrizioni alle Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Nel merito della formazione pre e post laurea del medico, “l’imparare
facendo” deve assumere più peso nei curricula formativi dei medici così come
devono essere rapidamente estese le iniziative di inserire nell’ambito degli studi
le nuove scienze umane (la comunicazione, la deontologia, l’etica, l’antropologia,
il management) come elementi costitutivi il moderno esercizio della professione
medica.
La formazione specialistica, così come sviluppatasi nel nostro Paese, è il
paradigma di questo modello formativo insufficiente per logiche e dimensioni a
fronteggiare la domanda di imparare a saper fare e saper essere, così come
previsto dalle normative CEE.
Il modello formativo è infatti ulteriormente evoluto, non si tratta più di
studenti con borse di studio, ma di medici in formazione specialistica con
contratti di lavoro a tempo determinato e, fermi restando gli obblighi di
apprendimento teorico, possono e debbono completare la loro formazione
specialistica con un inserimento pieno e protetto da tutors nelle attività di
prevenzione, diagnosi e cura delle reti formative regionali, che, in particolare
per la pediatria, devono comprendere gli ambulatori dei PLS.
Nell’ambito di tali tematiche, la medicina generale si pone come una
disciplina specifica, caratterizzata da una metodologia clinica propria, tempi
operativi e strumenti spesso diversi da quelli appresi durante il corso di laurea.
Per quanto riguarda la Formazione Permanente, in accordo con una vasta
letteratura internazionale, siamo perfettamente consapevoli dei limiti del
sistema ECM nel realizzare miglioramenti degli outcomes sanitari e degli skills
professionali, ciononostante non si può non riconoscere il grosso merito di aver
proposto e valorizzato la “cultura della formazione permanente” come attività
sistematica e strutturale delle organizzazioni sanitarie.
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Nell’ottica di chiamarsi ECM ma di muoversi nella direzione del SCP
(Sviluppo Continuo Professionale) il nuovo sistema dovrà sempre più muoversi
nella valorizzazione della cosiddetta formazione sul campo ovvero valorizzando
a fini formativi tutte quelle attività capaci di intercettare conoscenze e
competenze, rapportandole alla quotidianità degli interventi preventivi, clinico
assistenziali e riabilitativi (revisioni tra pari, audit, attività di tutoraggio,
partecipazione a gruppi di lavoro sulla sicurezza, sulle infezioni, sulla qualità,
etc.)
Le Società Medico scientifiche vanno ampiamente coinvolte in un progetto
di sviluppo, diffusione, organizzazione e valutazione d’impatto delle buone
pratiche e delle innovazioni in medicina ed in sanità al fine di garantire il
miglioramento continuo e la valutazione delle abilità, delle competenze
professionali e della qualità resa e percepita dei servizi
In prospettiva dovranno configurare gli indicatori e gli standards dello
sviluppo professionale; in altre parole quei portfoli di attività di prevenzione,
clinico assistenziali, di formazione, di aggiornamento, di insegnamento, di
ricerca ai quali, dopo una verifica e valutazione positiva, far corrispondere
livelli crescenti di accreditamento professionale.
Questo sistema volontario, che si propone come una opportunità ai
professionisti, ci appare come una risposta ragionevole e praticabile a quella
richiesta ormai pressante in molti sistemi sanitari di procedere quantomeno ad
una periodica (quinquennale) rivalidazione della cosiddetta licenza specialistica.
Va altresì irrobustita nelle partite finanziarie e meglio qualificata la spesa
pubblica regionale in ricerca biomedica pura e translazionale attraverso
l’individuazione di una specifica funzione di governo, autorevole, terza,
affidabile alla committenza ed ai provider di ricerca, che sappia mettere in rete
tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti attraendo in tali contesti, risorse
private “libere“ da conflitti di interesse, oggi indispensabili allo sviluppo della
ricerca.
In questi ultimi mesi si sono fatte più pressanti le sollecitazioni a
riprendere il cammino della legge che istituisce gli Ordini delle nuove
professioni sanitarie dopo la scadenza delle delega dello scorso anno.
Nei prossimi giorni, con il Vicepresidente Benato e il Presidente della
CAO Nazionale Renzo, insieme a rappresentanti della Federazione dei
Veterinari e dei Farmacisti, avremo un incontro di lavoro con il Parlamentare
Europeo on. Zappalà e con una delegazione qualificata delle professioni
sanitarie per condividere un’agenda di lavori.
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Credo che dovremo valutare con molto realismo l’ipotesi che questa possa
essere la strada per quella riforma specifica delle professioni sanitarie e degli
Ordini di riferimento che invano attendiamo da un processo riformatore che
coinvolga tutto il sistema delle professioni intellettuali e sul quale ci eravamo
espressi con un documento generale sottoscritto da tutte le OO.SS. mediche e
odontoiatriche (all. 3).
Naturalmente costituiremo un gruppo di lavoro e, prima di ogni passaggio
determinante, il Consiglio Nazionale sarà chiamato ad esprimersi; ma fin da
subito vanno condivisi alcuni orientamenti di carattere generale che riteniamo
debbano caratterizzare un moderno profilo di rapporti con le professioni
sanitarie non mediche.
Laddove sono evidenti fenomeni di erosione di spazi di competenze
mediche e odontoiatriche, ampiamente favorite quando non legittimate da una
legislazione che sciaguratamente è stata da noi trascurata negli anni passati,
abbiamo fatto sentire e faremo sentire il peso della nostra opposizione ferma.
Nello stesso tempo dobbiamo però uscire da questi schemi politici e
giuridici, da questa infinita storia segnata da guerre di confine combattute sul
campo e nelle aule di giustizia civile con esiti per noi poco incoraggianti .
In questa prospettiva non deve sfuggirci la straordinaria forza innovatrice
messa in campo dallo sviluppo delle conoscenze e delle competenze in ambito
sanitario non medico e che la formazione universitaria ha definitivamente
certificato; un fenomeno che supera e sempre più spesso travolge i tradizionali
modelli assistenziali e gli antichi ruoli professionali in questi presenti.
Noi riteniamo che tali cambiamenti, spesso percepiti e vissuti dal medico
come aggressioni al proprio status professionale, per esprimersi al meglio,
abbiano bisogno di svilupparsi in una nuova cornice giuridica che contempli le
seguenti questioni.
· Una definizione del profilo giuridico, unico e condiviso, di atto medico che
ne tracci le potestà e i limiti al fine di meglio definire le potestà ed i limiti
degli atti da riservare ad altre professioni sanitarie anche attraverso una
nuova tassonomia giuridica delle professioni e dei relativi profili da
correlare ai percorsi formativi;
· Una presa d’atto che il processo di sviluppo di nuove competenze settoriali
nel campo della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione non può più
tradursi nell’individuazione di ulteriori professioni sanitarie,
caratterizzate cioè da un percorso formativo universitario e dall’esercizio
di atti e competenze riservate, ma recuperando e valorizzando la funzione
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formativa delle strutture e dei professionisti del Servizio Sanitario
Nazionale riconosciute ed accreditate sulla base di requisiti e criteri validi
e unici su tutto il territorio nazionale, conformi alle Direttive Europee in
materia e abilitati a rilasciare diplomi triennali e possibilità di accedere a
successivi master specialistici;
· Possibilità di accesso delle professioni sanitarie alla dirigenza del SSN
esclusivamente e limitatamente a ruoli e funzioni coerenti con il biennio
specialistico (3 + 2) notoriamente prevista solo per le attività di
formazione e organizzazione, su posizioni dirigenziali da individuarsi su
scala aziendale;
· Prevedere che, all’interno di modelli operativi e funzionali fondati sulla
cooperazione e rispetto delle prerogative di tutte le professioni coinvolte
nelle attività, l’autonomia e la responsabilità tecnico professionale ed
organizzativo-gestionale del medico mantengano un indiscussa centralità
a garanzia della continuità e unitarietà dei processi di prevenzione,
diagnosi, cura e riabilitazione.
I difetti della nostra sanità vengono spesso attribuiti alla sua natura pubblica
sebbene, nella realtà dei fatti, la presenza del privato è massiccia ed ubiquitaria
tanto da porre, almeno dal nostro punto di vista, alcune questioni che
coinvolgono l’esercizio professionale di decine di migliaia di medici.
Non è solo un problema sindacale, che ovviamente non ci compete, ma
piuttosto di condizioni di qualità, autonomia e sicurezza dell’esercizio
professionale che invece non possiamo trascurare e che ci porta a sostenere che
le strutture pubbliche e private, devono erogare prestazioni con uguali standard
qualitativi e, a tal fine, devono possedere risorse analoghe sul piano tecnologico,
strutturale ed umano e valutati con indicatori comuni.
Crediamo inoltre che vada decisamente combattuta e vinta una battaglia di
contrasto al precariato professionale in genere, e medico in particolare, con le
paghe orarie da colf, con un mordi e fuggi, senza progetti professionali che ha
assunto dimensioni allarmanti negli ultimi anni invadendo settori di attività non
marginali dei servizi sanitari pubblici e privati .
Per quanto riguarda le Medicine e pratiche non convenzionali, la Legge
Regionale della Toscana n. 9 del 19.2.2007 (Modalità di esercizio delle medicine
complementari da parte dei Medici e Odontoiatri, dei Medici Veterinari e
Farmacisti), prospetta una soluzione di riferimento, fortemente incentrata sul
ruolo delle Regioni e degli Ordini professionali quali autorità garanti della
formazione e delle attività, limitatamente ad alcune discipline (agopuntura,
omeopatia, fitoterapia).
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Risulta evidente che manca a tale normativa, di per sé positiva ed
equilibrata, quella cornice normativa nazionale che impedisca la
frammentazione dell’impianto regolatorio in tante differenti soluzioni regionali,
con il rischio di “dumpig regolatori” o peggio, di inconciliabilità di normative.
Questo “bisogno di regolazione” delle medicine e terapie non
convenzionali cresce in proporzione diretta con la crescita della domanda di
questi servizi e le soluzioni da offrire devono essere omogenee e coerenti su tutto
il territorio nazionale.
Tali considerazioni rafforzano la convinzione che il punto di equilibrio e di
garanzia verso i cittadini non possa che essere la riconduzione delle principali
medicine e pratiche, non convenzionali, ad atti medici e più in generale ad attività
riservate alle professioni sanitarie, esprimendo così non una generica validazione
scientifica di tali attività, ma piuttosto riportando alla responsabilità professionale
e giuridica, propria dei professionisti medici, odontoiatri, farmacisti e
veterinari, l’uso più appropriato, efficace e sicuro di tali attività, dalla diagnosi,
alla terapia, alla preparazione e messa in commercio dei farmaci e rimedi.
La scelta di un confronto e di un dialogo non ha dunque il significato, che
spesso in modo ingeneroso ci viene rivolto, di negare o sminuire l’immenso valore
della medicina scientifica ma riteniamo che, quali Enti ausiliari dello Stato, ci
competa tutelare i cittadini ed i professionisti, contribuendo ad indirizzare, governare
e, se del caso, avversare con fermezza quei fenomeni che contrastino
con una efficace e sicura tutela del diritto alla salute, con la libertà di scelta dei
cittadini infine con un esercizio autonomo e responsabile delle nostre professioni.
In un Seminario del Comitato Centrale aperto a competenze del Ministero
del Welfare e delle Regioni svoltosi nel luglio scorso a Trieste, abbiamo
individuato alcuni aspetti regolatori che ci paiono ineludibili e come tali
riteniamo debbano assumere, sotto il profilo giuridico, le caratteristiche di
principi fondamentali in capo alla legislazione nazionale.
Nel progetto di ridefinizione della nostra identità tecnico professionale, civile
e sociale assume un ruolo centrale la deontologia posta a garanzia della moderna
alleanza terapeutica
L’esercizio di questo ruolo forte di garanzia che nessun altro può
compiutamente e legittimamente avocare o revocare, non è una scelta del
medico, bensì un suo obbligo perché la nostra professione è fortemente esposta e
responsabile sul piano dell’accessibilità ad alcuni diritti costituzionalmente
sanciti (tutela della salute e della vita, della libertà e dignità della persona, della
giustizia, della riservatezza, etc.) cosicché il nostro quotidiano esercizio
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professionale inevitabilmente intercetta forti valori civili riferiti alla persona e
alle comunità, sempre più plurali, o meglio sempre più globali, per culture,
storie, religioni, riferimenti etici.
Non mancano (e non mancheranno!) occasioni per cimentare queste
funzioni in passaggi delicati della nostra convivenza civile; basti pensare a due
questioni oggi sugli scudi, apparentemente distanti se viste nello specifico ma
straordinariamente vicine se viste alla luce dei principi fondanti la nostra
deontologia e cioè la cancellazione del divieto di denuncia dei clandestini,
previsto nel decreto sicurezza attualmente in seconda lettura alla Camera, e il
profilo del dibattito che ha accompagnato l’iter di approvazione in prima lettura
al Senato del DDL sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento.
Riguardo alla prima questione sulla quale è già intervenuto con forza ed
autorevolezza questo Consiglio Nazionale, al di là della grave e sciagurata
sottostima dei rischi per la tutela della salute pubblica derivante dalla
prevedibile immersione nella clandestinità di malati anche infettivi e contagiosi,
ferisce la leggerezza con la quale si vuole svestire “ope legis“ la nostra
professione di quella irrinunciabile alea di terzietà, di accoglienza, di solidarietà
nella cura delle persone.
In questi mesi abbiamo più volte sollecitato un ripensamento del
Parlamento, forse anche la nostra azione ha finalmente aperto un varco
nell’intransigenza di alcune posizioni politiche e, se tutto andrà nella direzione
auspicata, alla fine sarà cresciuta, nell’immagine e nel diritto, la forza civile
della nostra professione quale strumento di garanzia erga omnes di un diritto,
quello alla tutela della salute, che, nella nostra Costituzione, è sancito quale
diritto naturale dell’individuo e non solo del cittadino, giuridicamente inteso.
Questo diremo nel corso della Audizione alla quale siamo stati chiamati
presso la Commissione Giustizia della Camera il 22 Aprile.
Sulla seconda questione mi limito ad alcune considerazioni per lasciare
tutto lo spazio a quanto emerso nei Forum .
Ritengo che la vicenda Englaro abbia segnato un punto di non ritorno, le
questioni che ha posto ed i conflitti giuridici che ha aperto possono essere
riequilibrati solo attraverso un intervento legislativo che paradossalmente deve
però sottrarsi alle grandi emozioni del caso “Eluana”.
Lo abbiamo detto in passato e lo ripetiamo oggi: occorre un dispositivo
leggero che definisca modalità, finalità, contenuti e limiti delle Dichiarazioni
Anticipate di Trattamento, quale eccezionale e particolare estensione del
principio del consenso/dissenso informato e consapevole da parte del paziente ai
trattamenti in una condizione, quella di un danno irreversibile delle capacità
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cognitive di sé e di relazione con l’ambiente, determinanti una attuale incapacità
di intendere e volere .
Dicendo “leggero” intendiamo “mite”, che non deve occupare ed assorbire
la relazione di cura o meglio quella alleanza terapeutica che si fonda su un
responsabile bilanciamento tra la libertà di scelta del paziente e l’esercizio
autonomo delle tutele in capo al medico.
Sono personalmente convinto che, quando una persona passa dalla
condizione di capace a quella di incapace, non può veder diminuire la quantità e
la qualità dei suoi diritti ma deve invece poter contare su un aumento della
quantità e della qualità delle tutele per garantire al meglio lo stesso diritto.
Ritengo che stia anche in questo la forza civile oltre che tecnica ed etica
dell’alleanza terapeutica così fortemente rilanciata nel nuovo Codice
Deontologico: un incontro non occasionale, ma unico ed irripetibile, di
competenze, responsabilità e valori espressi da un medico ed un paziente che
devono parlarsi, capirsi e rispettarsi.
Non c’è legge o norma che ragionevolmente possa surrogare questo
universo all’interno del quale, in ragione di un diritto mite e di un’ etica forte,
proteggere gli incontri tra gli uomini che si pongono le domande più difficili.
Anche per questo abbiamo chiesto alla politica ed al Parlamento una
pausa di riflessione e, relativamente gli stati vegetativi, l’avvio di uno studio
osservazionale rigoroso sulle aree di incertezza diagnostiche, prognostiche,
terapeutiche ed assistenziali
Così sarà possibile irrobustire la struttura della scelta, dando risposte al
principio di precauzione in più occasioni invocato, in modo che i pazienti e le
loro famiglie, nonché gli stessi medici, possano disporre di robuste evidenze su
cui fondare le proprie scelte
Conclusioni
Più in generale in questo progetto ci deve animare il comune disegno di
una Professione medica vicina alle Istituzioni sanitarie, a supporto dei loro
compiti di tutela della salute pubblica ed ai cittadini soprattutto dove e quando
sono oltraggiati da disinformazione, silenzi, incapacità amministrative e colpiti
nei loro diritti alla tutela della salute da una devastazione dei territori, degli
ambienti di vita e di lavoro.
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Una vicinanza ai cittadini, ai loro bisogni, alle loro inquietudini oggi più
che mai indispensabile per dare risposte forti ed equilibrate ai dubbi e alle
incertezze tecniche, civili, etiche, che il travolgente sviluppo della medicina
inevitabilmente propone.
Dobbiamo tutelare i nostri giovani, garantendone l’ottimale formazione di
base e specialistica, favorendo il loro ingresso nella professione, proteggendo lo
sviluppo delle loro conoscenze e competenze attraverso fonti autorevoli e libere
da conflitti di interesse.
Dobbiamo contribuire a rendere il sistema sanitario affidabile per i
cittadini, a vincere la sfida della sostenibilità economica assumendoci la
responsabilità morale e tecnico professionale dell’uso appropriato delle risorse.
Un’ultima riflessione prima di chiudere mi porta ancora una volta ad
incoraggiarvi ad avere fiducia e speranze nel futuro, e soprattutto a sfidare
operosamente ed orgogliosamente il tempo, affermando che la storia più bella
della nostra vita professionale è quella che dobbiamo ancora scrivere e vivere.